Lettera a Micromega

Cari amici di Micromega,

 Conservo diversi numeri della vostra rivista, tutti letti con attenzione. Ho sempre ammirato la lealtà con cui esprimete il vostro orientamento (completamente diverso dal mio) a differenza di tanti altri giornali, riviste e prodotti editoriali vari di sinistra che invece si spacciano per “imparziali". Mi ha soprattutto colpito il sottotitolo che dall'originario “Le ragioni della sinistra" è confluito nell'attuale “Per una sinistra illuminista". Proprio uno di questi ultimi numeri, il n° 3/2018, quello dedicato al giornalismo mi è piaciuto tantissimo. Ho però la pessima abitudine, quando qualcosa globalmente mi piace, di soffermarmi su quei punti che invece non mi piacciono.
 Così le mie valutazioni si strutturano sempre in una introduzione elogiativa generica seguita da un insieme di particolareggiate critiche. Cosa questa che mi ha reso inviso a parecchi e purtroppo non farò qui un'eccezione, anzi.
 Mi viene a mente il principio espresso da Heidegger in Essere e Tempo laddove asserisce che ci accorgiamo dell'esistenza degli “utilizzabili” allorquando qualcosa non va, s'inceppano e stridono con lo scorrere abitudinario degli eventi. Altrimenti essi non sono altro che qualcosa che rientra nel normale fluire quotidiano dell’esistenza. Non so tutto questo fino a che punto c'entri con quanto sopra detto ma era giusto per fare una citazione dotta e darmi un po' di tono. Spero non me ne abbiate a male, sempre che qualcuno abbia avuto la temerarietà di giungere fino a questo punto. Tornando al numero dedicato al giornalismo, dicevo, ci sono alcune cosette che mi hanno, diciamo così, “turbato" e vorrei esporvele assieme ai motivi del mio suddetto turbamento. La prima cosa che mi salta all'occhio è il dialogo tra Massimo Gramellini e Selvaggia Lucarelli dedicato alla rubrica del cuore.
 Non esporrò le ragioni, forse personali, che mi spingono a considerare il fatto che l'intervento di un personaggio come Lucarelli svaluti di non poco il prestigio della vostra rivista ma entrerò direttamente nel merito del dialogo stesso. Scusatemi anche per il fatto che non uso l'odiosissimo articolo determinativo femminile davanti ai cognomi di donne per indicarne il sesso, come da pessima abitudine giornalistica e non solo, ma sono stato cresciuto all'antica e rispetto sia il principio grammaticale che vieta l'uso di articoli davanti ai nomi propri di persone sia il principio che non importa il sesso di chi scrive ma bensì il contenuto di ciò che dice. Tornando quindi al dialogo in questione, non ho potuto fare a meno di notare il fatto che una discussione dedicata alle problematiche amorose sia, tanto per cambiare, scivolata sulle solite lamentele su quante donne occupano un tal posto in tale settore, quanti piatti lavano gli uomini a casa loro (che poi saranno affar loro, direi…) e roba del genere. Mai che si parli di quante muratrici e minatrici donne ci siano, però.
 Ma vabbè, sorvoliamo.
 Tutti questi "bei" discorsi sulle ossessive parità e disparità numeriche tra i sessi in ambiti lavorativi (comodi) s'infrangono, però, quando Lucarelli parla delle problematiche sentimentali esposte dalle sue lettrici – gli uomini non le scrivono perché avrebbero addirittura… paura di lei… vabbè!
 Lucarelli dice che uno dei principali crucci delle ragazze odierne è l’iniziativa maschile, che i ragazzi e gli uomini oggi non si decidono mai a fare il primo passo – con tutte le normative anti-stalking e anti-molestie del resto non è che lo scenario sia tanto stimolante e favorevole all'iniziativa maschile, direi… Ebbene, la Nostra cosa dice in proposito? Dice che le sue osservazioni in merito oscillano tra un (cito a memoria) “Questo approccio timido ha un che di tradizionalista" e un educatissimo “Questo ha rotto le scatole! Se non si decide mollalo.”
 Lasciando perdere l'opportunità di questo secondo tipo di risposta, noto che Lucarelli però neanche si sogna di dare alle sue lettrici un consiglio che sarebbe perfettamente in linea con tutte le lamentele sulle “disparità di genere" che nella stessa intervista denuncia, ossia un chiarissimo “Perché non ti fai avanti tu e lo inviti tu a cena?”. Ma, come al solito, tutti i “bei" principi sul superamento di ruoli, sulla parità tra i sessi e la “emancipazione" delle donne si fermano a… un invito a cena. Tanto per cambiare!
 Ma passiamo oltre.
 Altra conversazione che mi ha colpito è quella tra Rossella Panarese e Telmo Pievani in cui asseriscono gli ottimi principi del giornalismo e della scienza i quali entrambi devono basarsi sul riscontro rigoroso dei fatti.
 Tutto molto bello! Peccato che sia Panarese che Pievani pecchino di veridicità nelle loro affermazioni. La prima quando asserisce che (cito sempre a memoria) “Attribuire tutti i reati agli extra-comunitari rafforza il senso di appartenenza…”… Gentile dott.ssa Panarese (o prof.ssa non so… scusatemi ma sono un repubblicano convinto e non ho molta dimestichezza con questi titoli nobiliari…) nessuno si sogna di attribuire tutti i reati agli “extra-comunitari" volendo usare come lei questa espressione in stile un po' anni ‘80/90. La questione immigrazione è una falsa questione, o meglio una questione mal posta. Non si tratta di razzismo come molti “illuministi", in buona o in cattiva fede, cercano sempre di sviarla. Non si tratta neanche di immigrati tout court ma bensì di clandestini. Si tratta di persone che non hanno le carte in regola per entrare in questo paese, siano esse bianche, nere, gialle, verdi o a pois rosa su sfondo bordeaux.
 Mi pare che sia logica conseguenza che si tratta di un problema ben più ampio che rientra in quello che voi stessi a più riprese avete definito “mal d'Italia": la questione del rispetto delle leggi, la questione della legalità.
 Lascio stare il percorso (almeno per me) misterioso che ha portato la sinistra italiana, di nota derivazione marxista, anti-capitalista e anti-borghese (quanti tra voi, della vostra redazione, non sono stati comunisti da ragazzi?) a partire dalla nota concezione esposta nel famoso ottocentesco Manifesto secondo la quale lo Stato altro non è che l'ufficio d'affari della borghesia e la legge l’insieme di regole imposta dalla classe dominante, dichiarando che si tratta di cose da abbattere, arrivando poi a giungere alla concezione che la legalità è nientepopodimeno che… l'arma dei deboli (quindi delle “classi oppresse") per tutelare i propri interessi.
 Lascerò stare la mia perplessità in merito, che nasce dal fatto che ho sempre saputo che la legalità, l'onestà e la rettitudine sono sempre stati valori borghesi, conservatori e di destra.
 Lascerò anche stare il fatto che proprio perché in Italia ci sono fin troppi personaggi loschi dal rendere indesiderabile l'importarli dal di fuori, e non credo si possa negare il fatto che tra clandestini possano esserci un bel po' di individui di dubbia rettitudine (il solito alibi della povertà ormai non è più convincente essendoci fin troppi poveri che non delinquono e fin troppi ricchi che lo fanno…).
 E lasciamo anche perdere la strana vicenda di navi che partono dal nord Europa per raccattare “naufraghi" sulle coste libiche e portarli non a Tripoli, non a Tunisi, non a Siviglia, non a Malta ma… a Lampedusa o in altro porto italico. Il tutto connesso al fatto che se Francia, Spagna, Grecia e Malta chiudono i porti è tutto normale e nessuno dice niente. Li chiude l'Italia e scoppia la solita stucchevole polemica su “razzismo", “intolleranza" e sciorinerie trite e ritrite per poi scoprire che dietro le belle parole di “accoglienza", “apertura", “tolleranza" e via dicendo si nasconde un business miliardario sulle spalle dei soliti fessi: i contribuenti italiani. Lasciamo stare tutto questo.
 Ma la cosa che mi preme far notare è l'incoerenza e il doppiopesismo quando si invoca il principio di legalità nei confronti di un tal “signor" (si fa per dire) Silvio B. e la sua cricca e poi lo stesso principio non viene invocato ma anzi di fatto avversato quando si parla di clandestini. Se quel principio deve valere nei riguardi di Silvio B. e la sua cricca deve valere anche nei riguardi di chi vuol calpestare il suolo di questo paese. Non è che un principio lo si invoca e lo si fa valere solo quando e nei riguardi di chi ci fa comodo, altrimenti si sfocia in bieco opportunismo. Non trovate?
 Se esiste una normativa in materia di immigrazione qui può venirci e, soprattutto, restarci chi la rispetta e ha le carte in regola per farlo, non altri. Se questa normativa non la si ritiene giusta si promuovono petizioni per cambiarla ma fintanto è in vigore la si rispetta.
 Passo ora al prof. Pievani. Costui asserisce che il dott. James Watson avrebbe fatto asserzioni razziste. 
 Ricordo benissimo le asserzioni di Watson in merito alla diversa intelligenza di quell'ampio insieme di popolazioni definito sbrigativamente col termine “neri" e le stupidissime quanto solitamente fuorvianti polemiche in merito a un presunto razzismo esposto in quelle asserzioni. Precisamente Watson asserì che “I neri hanno un'intelligenza diversa" aggiungendo che “chi ha avuto dei neri alle proprie dipendenze sa di cosa parlo".
 Se gli “illuministi" fossero meno presi a illuminare se stessi e la loro munifica e integerrima moralità sociale e si occupassero maggiormente di far luce su ciò che avviene a un palmo dal loro naso si sarebbero accorti che la fallacità delle asserzioni watsoniane non risiede nella prima parte del suo discorso ma nella seconda.
 Non è il presunto “razzismo" che inficia le affermazioni di Watson, che di razzista non hanno alcunché, ma nel basare le sue opinioni su chiacchiere da bar più che su dati estrapolati da ricerche e osservazioni scientifiche, come ci si aspetterebbe da un ricercatore del suo calibro. 
 Asserire che un insieme di popolazioni possa aver sviluppato, nel corso dell'evoluzione, attitudini psichiche e comportamentali peculiari e differenti da altri insiemi di popolazioni è un'ipotesi che va sottoposta al vaglio serio e rigoroso della scienza, priva di ogni velleità morale e ideologica, che altrimenti di scienza non si tratterebbe. Ma non è di per sé un'ipotesi razzista in quanto differenza non è affatto sinonimo di quello stupidissimo dualismo concettuale del tutto privo di scientificità e oggettività quale è l'essere “superiori" o “inferiori". 
 Watson avrebbe dovuto chiedere scusa alla comunità scientifica per aver esposto tesi, come si dice dalle mie parti, “a capa sua" e non supportate da dati scientifici. Ma non avrebbe dovuto scusarsi con altri per del razzismo che nelle sue osservazioni non c'era. E questo il dott. Proff. Pievani dovrebbe saperlo se vuole basarsi sui fatti.
 Ma l'articolo che mi ha lasciato maggiormente sbigottito è quello di Adele Orioli sul presunto “controllo vaticano dei media"…
 Basandosi su una “ricerca" di Geca Italia e pubblicato su Critica Liberale (tutti liberali oggidì!) Orioli asserisce che la quasi totalità delle trasmissioni che si vedono in TV sarebbe di ispirazione cattolica o almeno della tradizione giudaico-cristiana.
 Io non capisco a quali trasmissioni e a quale TV si riferisca Orioli ma, a parte i discorsi del papa, io quelle poche volte che guardo la TV non ho mai visto nulla di religioso. Se ci riferiamo a fiction come “Che Dio ci aiuti" o “Josephine" la cosa è a dir poco tragicomica. Nella prima, a parte le monache, non ho mai sentito esprimere un solo concetto religioso mentre nella seconda si tratta di un angelo che non ha alcuna connotazione realmente religiosa.
 Si tratta di fiction semi-comiche e nulla più. Stesso discorso per “Don Matteo". La protagonista di Josephine, addirittura, in una puntata andò in Thailandia e pregò, in maniera divertente, una divinità induista…
 Anche il “Commissario Montalbano" è di ispirazione cattolica o di tradizione giudaico-cristiana?
 Tra l'altro Orioli stessa afferma che in queste fiction si fa riferimento a un senso di umanità e di buone intenzioni che è un quadro lontano dal vero religioso odierno… e allora, Orioli cara, di che stiamo parlando?
 Ma la cosa che più mi lascia perplesso e mi incuriosisce sono le “tematiche atee" citate nell'articolo… e in che consisterebbero? Io direi che un buon 99,999% di ciò di cui parliamo ogni giorno, sia tutti noi che i personaggi televisivi, sono tematiche atee. Si cita forse il Dio cristiano nelle questioni di finanza, sanità, scienza, attualità e tantissime altre cose? Ci sono disquisizioni cattoliche e giudaico-cristiane nel Grande Fratello, nell'Isola dei Famosi, in Amici o in Uomini e Donne? C'è qualche riferimento religioso nelle fiction di canali come Top Crime, Giallo o Cielo? Ce ne sono in “Un posto al sole”?
 Oppure l'ateismo è divenuto una vera e propria religione con tanto di propria (a)teologia?
 No, ma davvero, di che diavolo (ops!) stiamo parlando?
 Se poi, come Orioli sarcasticamente dice, vogliamo vedere nelle trasmissioni culinarie queste tematiche atee spero tanto che a un esame più approfondito Orioli non noti che il 97% delle ricette sono di ispirazione cattolica o almeno di tradizione giudaico-cristiana… quando si dice “vedere qualcosa anche nel piatto in cui si mangia"…
 Tutte queste perplessità mi ispirano alcune considerazioni che vorrei esporvi, tanto fino a questo punto nessuno sarà arrivato a leggere quindi tanto vale che mi sfoghi un po'.
 La prima considerazione riguarda un grande assente nel panorama politico e culturale italiano: il liberal-conservatorismo.
 Io mi chiedo per quale motivo in un paese il cui primo partito di governo fu il Partito Liberal-conservatore di Camillo Benso (si chiamava Benso non Cavour, questo è il nome del paese del torinese. Lo tengano presente coloro che gli dedicano piazze e strade… e scritti vari…) proprio in questo paese manchi una cultura e un'espressione politica liberal-conservatrice.
 La stessa parola “liberale" passa di bocca in bocca, declinata in salse e colori che ognuno vuol dargli, dal “signor" Silvio B. degli anni ’90 e primi anni duemila ad ex-comunisti, ex-democristiani se non addirittura ex-missini.
 Ma di un vero e sano liberalismo classico neanche l'ombra, forse perché siamo troppo abituati alle mammelle dello Stato che più che un’istituzione proprietà ed espressione del popolo italiano volta a salvaguardare quella strana cosa chiamata “bene comune" (ridotta a stato pietoso) viene visto come una mucca da mungere, un nemico da fottere o uno strumento di controllo e di potere per fare i propri interessi di bottega e di clan.
 Da qui passerei a un tema più ampio, la cultura, con una domanda diretta: ma per quale motivo i cosiddetti “ceti colti" italiani sono quasi tutti di sinistra? Per quale motivo la cultura italiana è quasi sempre sbilanciata verso sinistra? Forse chi è “colto" sente una sorta di obbligo di essere di sinistra oppure, al contrario, chi è di sinistra sente l'obbligo di “acculturarsi”, finendo col mescolare cultura e ideali di sinistra in un polpettone (apparentemente) interconnesso?
 Ho notato, poi, che anche la divulgazione scientifica si è “sinistrizzata" negli ultimi anni. Anche qui non saprei se il moto principale sia stato divulgatori scientifici -> sinistra oppure “sinistri" -> divulgazione scientifica. Sta di fatto che forte è la tentazione di utilizzare la scienza per legittimare in maniera “oggettiva" le proprie posizioni politiche.
 Così, dopo la stagione dello scientismo liberista che utilizzava il darwinismo per propagandare l'idea di una realtà sociale fondata sulla competizione onnipresente a oltranza magari vedendola pure nel piatto dove si mangia, adesso pare diffondersi uno scientismo di sinistra che vuol basare le proprie tesi sulla complessità del reale spiegato dalla scienza.
 Come un tale Adrian Fartade il quale in un suo video sul suo canale Youtube Link4universe se ne esce con uno spot a favore del movimento LGBT perché, nella sua testa, così come nel cosmo esistono oggetti non classificabili né come comete né come asteroidi allora anche i sessi maschile e femminile sarebbero “categorie estreme" e da qui la sua difesa al suddetto movimento.
 Ora io non ho nulla contro, né a favore, del movimento LGBT ma, perdiana, che si lasci in pace la scienza e si evitino simili sortite. Chi vuol fare un buon servizio alla scienza dovrebbe occuparsi di movimenti sociali e politici con appositi canali, appositi video, appositi spazi e, al contempo, utilizzare canali e spazi dedicati alla scienza lasciandola libera da ogni connotazione ideologica. 
 Ma la scienza non ci dice cosa è giusto e cosa sbagliato, si limita a descrivere ciò che emerge da osservazioni e ricerche. La giustezza di qualcosa è una questione etica e non scientifica. Etica che dipende dai valori personali. È ovviamente lecito fare uso di dati scientifici per supportare le proprie posizioni etiche, ma queste vanno tenute ben distinte dalla scienza in sé per sé.
 Non è la scienza a dirci se è giusto o sbagliato fare uso di droga. Questa non fa altro che descriverne gli effetti sull'organismo ma saranno le valutazioni personali, guidate da valori e principi condivisi da ognuno di noi, a stabilirne giustezza o meno. Si potranno fare uso dei dati scientifici per orientare le proprie valutazioni al riguardo ma non è la scienza a stabilirlo.
 Non è la scienza a conferire titoli di “persona" o “essere umano" a un organismo dal momento del concepimento, dal 91° giorno di gestazione oppure dalla nascita. Queste sono infatti categorie etiche e filosofiche e non scientifiche. La scienza ci descrive le fasi di sviluppo di un organismo di Homo Sapiens dal concepimento alla morte, descrizioni che potranno essere liberamente prese come basi per argomentare le proprie posizioni in materia di IVG o cose affini ma saranno sempre e solo posizioni etiche e morali e mai tesi scientifiche.
 Così le ricerche scientifiche potranno dirci come gestire al meglio i flussi migratori per raggiungere scopi che ci siamo prefissati in campo sociale e demografico ma non gli scopi che saranno dettati da scelte valoriali.
 Si potrebbe andare avanti all'infinito con esempi del genere.
 Questa identificazione forzata tra ideali di sinistra e pensiero scientifico è pericolosa per il pensiero scientifico stesso. Datosi che gran parte delle persone ha la nota attitudine di ragionare un po' con un cospicuo intervento dell'attività gastro-intestinale molti giungono a identificare, per converso, gli ideali non di sinistra col pensiero anti-scientifico. Così chi non condivide gli ideali di sinistra tenderà ad assumere un atteggiamento anti-scientifico alle cose. All'equazione ideali di sinistra = pensiero scientifico si tenderà a contrapporre l'equazione ideali non di sinistra = pensiero anti-scientifico, fino a giungere al terrapiattismo che tanto spopola su internet. Tutto questo rende un pessimo servizio alla scienza, alla politica e alla cultura in generale.
 La questione si allarga con la manifestata, se non addirittura dichiarata, convinzione che si possa giungere a un'altra pericolosissima identificazione, quella che vede i principi e i valori della sinistra come gli unici veramente democratici. Il che vuol dire che se si vuol essere democratici bisogna essere per forza di cose di sinistra altrimenti non si è democratici. Un po' come parrebbe asserire nel suo articolo Paolo Sollier il quale parla di una “sinistra diffusa" ossia di coloro che pur non prendendo palesemente posizioni politiche, condividono ideali democratici. In altre parole gli unici ideali democratici sarebbero di sinistra, se non si è di sinistra non si è democratici… Ma questa identificazione “ideali di sinistra = unica forma di democrazia" non è forse contraddittoria? Se non esistesse più un'alternativa alla sinistra di che democrazia parleremo? È fin troppo facile essere “aperti" e “tolleranti" con chi la pensa fondamentalmente allo stesso modo. Io mi auguro con tutto il cuore che la “sinistra illuminata" non condivida una simile equazione.
 Vorrei concludere con una noticina sulle testate che si dicono “militanti ma non parziali" come, per esempio Il Post. Ho avuto l'esperienza di postare alcuni commenti ad alcuni articoli di questa testata e ho avuto la conferma dei miei dubbi su questa presunta separazione tra militanza e parzialità. Ora pare che abbiano sospeso la facoltà di postare commenti. Da come erano “moderati" (leggi pure “censurati") direi che hanno fatto bene.
 Mi fermo qui.
 Se per caso qualche poveraccio tra voi avrà avuto la pazienza la tempra e lo stomaco di giungere fino a questo punto (ma non credo) desidero vivamente ringraziarvi per la (immeritata) attenzione che mi avete prestato e voglio augurarvi tante buone cose e buon lavoro.

Giuseppe Bizzarro 

Commenti

  1. Mai la gioia di avere una risposta da questi spocchiosi "illuministi" della minchia!

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