Fino all'ultimo respiro

Le flebo che ti tengono in vita sono quasi una tortura per te.
Il fegato corroso dalla cirrosi. Hai trascorso gli ultimi mesi come vedova sola, con figli indaffarati che ti hanno dedicato una quantità di tempo che sembra sempre essere stata troppo scarsa.
I medici avevano detto che non c'era nulla da fare. Pochi giorni.
Ma forse tra poco sarai libera. Libera dalla sofferenza, dalla tristezza, dall'infermità che ti ha tenuta prigioniera negli ultimi anni.
Libera dal dolore, sia quello fisico già di per sé insopportabile, ma anche da quello del tuo cuore spezzato di vedova. Da questo dolore che ti ha tanto dilaniata solo poco fa.
Ho sempre creduto di volere bene più mio padre che te. Ma adesso che ti vedo così piccola e indifesa, come un uccellino appena uscito da un nido, capisco che ti voglio bene quanto lui, in maniera diversa. Lui era un amicone. Uscivo con lui, guardavamo la TV insieme ci confidavamo. Tu ed io siamo sempre stati un po' distaccati e spesso in conflitto, ma adesso vorrei che stessi bene, che tornassi come prima. So che mi mancherai.
In questi giorni all'ospedale ti sono stato vicino per giorni interi. Forse perché mi sentivo in colpa e per lavarmi la coscienza. Ma non me ne pento.
Ti tengo la mano da ore come non ho mai fatto prima. Non sono mai stato capace di manifestare il mio affetto. L’ho sempre tenuto chiuso dentro come un riccio dandoti al massimo una pacca sulla spalla, un fugace abbraccio o un veloce bacio sulla guancia per salutarti quando venivo a farti visita.
Ma adesso una forza spinge il mio animo ad essere diverso. Senso di colpa? Paura del distacco? Io non lo so. Se solo avessi fatto queste cose un po' prima.
Ti ho dato da mangiare fin quando riuscivi ancora a farlo, come facevi tu con me quando ero piccolo. E per la prima volta sono riuscito a dirti “ti voglio bene".
Ma adesso ho paura. Ho paura di quel momento. Da una parte vorrei che non giungesse mai per poterti ancora avere vicino con un brandello di vita in corpo. Ma d'altra parte vorrei che arrivi, inevitabile, per rompere quest'attesa lancinante, per spezzare quest'ansia che logora l'animo e satura l'aria di questa stanza d’ospedale. 
Entra un infermiere per cambiarti una flebo. Fai fatica a respirare. Rantoli.
Lui ti guarda ed esclama: “Signora!”. Il cuore mi balza in gola. Ti vedo emettere un ultimo respiro.
Ho solo il tempo di darti un ultimo bacio per poi scappare fuori mentre chiamano il medico di turno e si avvia tutta la procedura che ormai già avevano previsto da giorni.
Non avrei mai potuto vedere il tuo viso privo di vita.
Non avrei mai sopportato di vederti senza respiro.


A mia madre
4 agosto 1947 - 2 gennaio 2020

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